intervento di Davide Zoletto
Traccia dell’intervento:
1. Riflettere sui “saperi dell’inclusione” può significare in prima battuta condurre un’analisi critica sul modo in cui alcuni degli approcci disciplinari con i quali affrontiamo lo studio dei processi educativi inclusivi e con i quali cerchiamo anche di promuovere tali processi, possano a volte invece a “costruire” l’altro/a. Si tratta di quel nesso complesso tra sapere e potere che Michel Foucault ci ha insegnato ad analizzare – si vedano per esempio le pagine foucaultiane dedicate al dispositivo dell’“esame” in Sorvegliare e punire (Foucault 1975: pp. 202-212) – e che ritroviamo per esempio nell’analisi critica condotta da Abdelmalek Sayad relativa alle cosiddette “scienze dell’immigrazione” (Sayad, 1999: p. 164). Nell’analisi critica di questi saperi può essere però anche importante mantenere un atteggiamento di metodologica “autocritica” come quella insegnataci dalla decostruzione di Jacques Derrida che ci invita a porre in questione sempre anche il nostro stesso sguardo critico e il quasi inevitabile irrigidimento a cui esso stesso è spesso esposto – si vedano per esempio le considerazioni derridiane sull’analisi del “contesto” (Derrida 1989).
J. Derrida, “Verso un’etica della discussione” (1989), in J. Derrida, Limited Inc. (1989), Raffaello Cortina, Milano 1997, pp. 161-230.
M. Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione (1975), Einaudi, Torino 1993, pp. 202-212.
A. Sayad, La doppia assenza. Dall’illusione dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato (1999), Raffaello Cortina, Milano 2002.
2. Riflettere sui “saperi dell’inclusione” può però nello stesso tempo anche significare il tentativo di tracciare una possibile mappa dei saperi e delle pratiche spesso informali con i quali l’altro/a risponde al reticolo dei dispositivi di sapere/potere. Sono le “tattiche” (o il “brusio delle pratiche”) verso le quali ci ha invitato a guardare Michel de Certeau (1980), e a cui potrebbe indirizzarsi uno sguardo pedagogico che cerchi di non fermarsi a forme di “tecnicismo”, ma cerchi invece di cogliere e valorizzare i modi concreti con cui insegnanti e allievi abitano i contesti educativi, cercando di creare possibili spazi condivisi di espressione e interazione. È forse anche in questo senso che Florence Giust-Desprairies ha parlato di “analisi critica, ma non disperata” che possa accompagnarsi al tentativo di “affrontare la realtà sociali e culturali” che si incontrano nella vita quotidiana nei contesti educativi (Giust-Desprairies 2010: p. 20). È anche un invito a esercitarci (ed è in un certo senso uno dei compiti più impegnativi a cui è chiamata la ricerca pedagogica oltre che, di nuovo, una delle lezioni che ci vengono dalla decostruzione derridiana) in quella che Anna Maria Piussi ha chiamato “una modificazione che amplia lo sguardo e consente di leggere [i contesti educativi] in modo più articolato e profondo, di vederne le risorse nascoste” (Piussi 2011: p. 33).
M. de Certeau, L’invenzione del quotidiano (1980), Edizioni Lavoro, Roma 2001.
F. Giust-Desprairies, Che fare della diversità nella scuola? (2010), in “Animazione Sociale”, marzo 2014, pp. 12-21.
A.M. Piussi, Il senso libero della libertà. La posta in gioco di una civiltà desiderabile, in “Encyclopaideia”, XV (29), 2011, pp. 11-45.
Data:
sabato 10 gennaio 2015, ore 15-17
Davide Zoletto è ricercatore di Pedagogia generale e sociale all’Università di Udine e redattore della rivista “aut aut”. Si è occupato del pensiero di Gregory Bateson e delle implicazioni pedagogiche del gioco, anche in un contesto interculturale. Tra le sue ultime pubblicazioni: Straniero in classe (Raffaello Cortina 2007), Il gioco duro dell’integrazione. L’intercultura sui campi da gioco (Raffaello Cortina 2009), Pedagogia e studi culturali (ETS 2011); Dall’intercultura ai contesti eterogenei (Franco Angeli 2012).
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