di Pier Aldo Rovatti

La campagna contro il linguaggio urlato e pesante sembra avere successo. La volgarità verbale stanca anche la parte più becera del cosiddetto popolo. Staremo a vedere in cosa consisterà la invocata discontinuità delle politiche di governo, ora che il testimone è passato di mano con grande velocità, quasi dall’oggi al domani. È ovvio mantenere delle perplessità sugli sviluppi delle questioni fondamentali, ma intanto va constatato questo passaggio a un linguaggio più mite, che corrisponde – come sembra – a un desiderio diffuso. 

“Finalmente!”, diciamo con un senso di sollievo, e molti aggiungono “Basta litigi!”. Mi ha colpito un inciso nelle dichiarazioni del premier, quando ha esortato ad avere “cura delle parole” adoperate nel discorso pubblico. Come dire: smettiamola di considerare il popolo quasi fosse uno strano animale che ascolta solo con la “pancia”, perché è con la “testa”, innanzi tutto, che si realizza l’ascolta. 

Noi, però, continuiamo a borbottare, anzi a “brontolare”, e sappiamo che il cosiddetto “popolo di sinistra” ne è un maestro di antica data. È un vizio nazionale radicato, molto difficile da correggere. La discontinuità, se potesse spingersi fino in fondo, dovrebbe riuscire a “curare” anche questo eterno brontolio di massa, in cui sembra che la testa e la pancia si confondano.

Ricordo che uno dei famosi nani, che attorniano Biancaneve nella favola, l’abbiamo chiamato Brontolo: un po’ scontroso e rompicoglioni il suo, o semplicemente meno simpatico di Cucciolo per quanto meno noioso di Dotto (gli intellettuali?), tuttavia ci siamo spesso identificati in quel suo incessante borbottio. Mai contenti! Come se ci dispiacesse che le cose possano per una volta funzionare bene e fossimo – per dir così – più attenti al pelo, che si scova sempre, che all’uovo che magari potremmo mangiare, poca roba che sia.

Mi viene anche alla mente un noto personaggio goldoniano, Sior Todero Brontolòn, il protagonista dell’omonima commedia datata 1760: avaro, antipatico, cattivo e autoritario padre di famiglia. Pare che lo stesso Goldoni non amasse tanto questo personaggio negativo abbastanza lontano dalle sua corde, e che quasi si sorprendesse del successo che riscuoteva presso il pubblico veneziano. Si è anche pensato che in Todero Brontolòn rispecchiasse un disappunto verso una città a suo parere decaduta e ora in mano a futili mercanti. Nessuno di noi può essere rappresentato ai giorni nostri con l’acredine e la durezza del Brontolòn goldoniano, certo è che siamo dei grandi brontoloni, ben diversi ma non privi di qualche somiglianza. 

Il nostro bel Paese appare oggi in balìa di un mercato generalizzato, assai poco nobilitante. Ci lamentiamo dei politici e della loro inconsistenza, ma anche i mercanti di oggi seguitano a brontolare sulle sorti tutt’altro che magnifiche e dall’aspetto regressivo. E quando diciamo “mercanti” ci guardiamo dall’usare un tono spregiativo poiché siamo consapevoli che ormai per mercato si intende addirittura uno stile di vita che in qualche misura riguarda tutti. In realtà ciascuno di noi, a qualsiasi gradino si trovi della cosiddetta scala sociale, continua a lamentarsi. 

Faccio queste osservazioni chiedendomi autocriticamente se nell’attuale frangente (soprattutto politico, ma poi anche culturale e sociale) non valesse invece la pena di attenuare un poco questa sindrome da signor Brontolone per passare a una mitezza di atteggiamento, che sorregga quella mitezza di linguaggio di cui parlavo. Lo so che è un’impresa all’apparenza impossibile cavar fuori da una corazza ormai avvezza al brontolio perpetuo un succo minimo di ottimismo o qualcosa che somigli a una disposizione positiva verso un futuro possibile. 

Non stiamo camminando sulle macerie, non possiamo trasformare di colpo ogni aspetto del mondo che abitiamo in qualcosa da rifiutare. Non tutto è falsità e imbroglio, non tutti siamo falsari o imbroglioni, dipende da cosa cerchiamo. 

Il brontolone che borbotta dentro di noi vorrebbe ottenere una specie di assolutezza a ogni passo, perciò è costantemente insoddisfatto. Spesso è proprio lui, cioè ciascuno di noi, che frappone ostacoli di ogni genere all’ottenimento di un qualche risultato utile. Vigilare criticamente è necessario, ma criticare troppo e sempre può produrre molti autogol.

[Pubblicato su “Il Piccolo”, venerdì 13 settembre 2019]