L’attività della Scuola nei prossimi tre sabati di lezione sarà arricchita dalla presentazione e proiezione di tre film di Pasolini, in preparazione al prossimo appuntamento del Cantiere “Politiche del pensiero: verso un’etica minima?” che sarà interamente dedicato a Pasolini. Ci incontreremo nella Casa dello studente presso l’ex Ospedale militare (via Fabio Severo 40) dalle ore 21 alle 23.30.
Sabato 26 gennaio 2019, ore 21
Alessandro di Grazia farà una breve presentazione dell’iniziativa; seguirà l’introduzione al film Teorema a cura di Alessandro Mezzena Lona, che sarà nostro ospite nel cantiere “Politiche del pensiero” il 23-24 febbraio.
Teorema è uno dei film più enigmatici, provocatori e perturbanti firmati da Pier Paolo Pasolini. Girato nel 1968, proiettato alla Mostra del Cinema di Venezia (dove vinse tre premi compresa la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile di Laura Betti), bersagliato dalla censura e dal Vaticano che lo definì “inammissibile film”, parte da un’asserzione. Quella di raccontare la borghesia, e i suoi riti privi di significato perché desacralizzati dal consumismo sfrenato, nel momento in cui le giornate tutte uguali della famiglia di un industriale vengono scompaginate dall’arrivo di un ospite misterioso. Il passaggio del giovane vestito di bianco, che ha il volto dell’attore britannico Terence Stamp, cambierà per sempre il senso delle loro vite.
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Sabato 9 febbraio 2019, ore 21: Comizi d’amore, introdotto da Andrea Muni.
L’oscillazione che quest’anno dà il titolo alla Scuola di Filosofia non indica un andare e venire, un ignavo stare un po’ di qua e un po’ di là. “Oscillare” è piuttosto una parola che ci invita alla missione impossibile di prendere contemporaneamente entrambe le strade di un bivio, che ci sfida a sdoppiarci, a essere l’ “incrocio”, lo snodo di due strade apparentemente incompossibili. In questo senso la lezione di Pasolini è fondamentale, non solo per quello che ci ha insegnato a proposito del ruolo dell’intellettuale critico all’interno della società (ruolo che deve essere, in primo luogo, di ascolto e quindi di messa in dubbio dei propri presupposti intellettuali e di classe), ma anche e sopratutto perché rappresenta un esempio maestoso di questo preciso tipo di oscillazione.
Nonostante sia stato il primo a denunciare la mutazione antropologica del popolo italiano, e nonostante fosse forse il massimo esponente della cultura “alta” del suo tempo, Pasolini non ha mai smesso di vedere nella cultura popolare un mondo “altro”, parallelo, che egli amava visceralmente e per cui nutriva un rispetto quasi religioso.
Nella visione di Comizi d’amore potrebbe essere particolarmente interessante concentrarsi proprio sulla figura dell’ “intervistatore Pasolini”, sulla sua capacità di farsi da parte, di mettersi in ascolto, persino dei discorsi più spiacevoli e disturbanti della gente rispetto al sesso, ai sentimenti, alla famiglia. Un ascolto che non è mai autocompiaciuto, che non esclude affatto che l’intervistatore dissenta e discuta con l’intervistato, ma che al contempo manifesta sempre un rispetto genuino per le opinioni “basse” degli incolti, degli ignoranti e dei violenti cui dà liberamente la parola. Un ascolto sincero della brutalità e dell’ignoranza, che ci testimonia sia la incredibile capacità autocritica di Pasolini, sia il suo sforzo di tenere insieme, di non considerare alternative, la cultura alta e la cultura popolare. Un’oscillazione pericolosa, vertiginosa, che certamente non ha fatto bene a Pasolini (nel senso che non gli ha permesso di vivere tranquillo), costringendolo a denunciarsi, e a denunciare la grettezza, il disinteresse, il disprezzo di un’intera classe intellettuale nei confronti di quel popolo che, pure, desiderava ardentemente educare.
Oggi come allora è quanto mai necessario – all’alba di una nuova mutazione, che siamo ancora lontani dall’aver circoscritto – che la cultura e il mondo intellettuale ritrovino il gusto “masochista” di questa oscillazione, per ritrovare così forse anche la loro unica vera utilità e vocazione politico-sociale: essere una cerniera tra la cultura “alta” e la cultura popolare, un ponte capace di ridurre il vero e proprio abisso che si è scavato negli ultimi decenni tra le persone comuni e il mondo della cultura.
Comizi d’amore è un’indagine culturale che ancora oggi, a distanza di cinquantacinque anni, può essere guardata con interesse e curiosità da una pensionata con la terza media, da un ragazzo di quarta superiore, da un idraulico, da una giovane immigrata, da un medico e/o da una giovane intellettuale. Un film che unisce, che obbliga delicatamente all’ascolto e al rispetto del diverso, un diverso che forse – per ragioni di cui potremmo discutere nel dibattito – andiamo a volte a cercare troppo lontano, troppo diverso, magari per evitare di oscillare noi stessi e riconoscere la disumanità e la grettezza che imputiamo al popolo italiano nei nostri stessi automatismi più inavvertiti, nella chiusura mentale delle nostre opinioni più sacre e radicate.
Da intellettuale borghese, da omosessuale e da progressista Pasolini non poteva che vedere di buon occhio i primi faticosi passi del popolo italiano in direzione di una liberazione della sessualità, ma al contempo egli non poteva far finta di non vedere anche le inquietanti ricadute intime, personali e psicologiche di questo progresso calato dall’alto sulle persone “infami”, comuni. Pasolini non poteva far finta di non vedere – perché questi infami, lui, li rispettava, li ascoltava – le cause politico-economiche (e gli inattesi contro-effetti) di una “liberazione” pilotata, di cui il popolo italiano stava beneficiando del tutto passivamente. Insieme alle imprescindibili conquiste civili introdotte dalla liberazione sessuale nell’Italia del boom (non ultima quella dei diritti delle donne), nelle vene del popolo italiano, nel suo modo concepire l’erotismo e di vivere i sentimenti, hanno infatti cominciato a scorrere anche degli elementi nocivi, consumistici, selvaggiamente capitalistici (per chiamarli col loro nome). Mettere a tema questo paradosso, affrontarlo criticamente, non fare ideologicamente finta fosse tutto rose e fiori, è esattamente l’oscillazione critica cui Pasolini si è sottoposto, la stessa a cui ci invita nella visione di questo film.
Comizi d’amore ci invita a riscoprire il gusto sincero dell’ascolto di quell’umanità “infame” (di cui, chissà, in fondo tutti facciamo un po’ parte) che nel grande libro della storia non ha voce né udienza. Un’umanità i cui corpi ricevono passivamente l’iscrizione della cultura “alta” e di un “progresso” che faticano a capire, digerire, cicatrizzare nella propria vita e nei propri rapporti quotidiani. Un’umanità “infame” che forse, proprio per questo, rappresenta ancora oggi una risorsa preziosa per riflettere da un’angolazione differente sulle falle consumistiche e autoimprenditoriali di un mondo, il nostro, che pur non essendo tutto da buttare, ormai quasi nessuno riesce più a considerare come il migliore dei mondi possibili.
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