Corpi, spazi, istituzioni
coordinato da Raoul Kirchmayr
In considerazione del tema scelto per quest’anno, cioè la ripresa dell’opera teorica e pratica di Franco Basaglia, il Cantiere si propone di riflettere sul tema del corpo, mettendolo in relazione sia con quello dello spazio sia con quello dell’istituzione.
I tre temi sono intrecciati: la Storia della follia di Foucault ci ha insegnato a collocare l’esperienza storica della follia in un contesto che è sempre istituzionalizzato, e che il potere dell’istituzione si declina sempre in un controllo dei corpi in uno spazio. La fenomenologia ci ha permesso di descrivere l’esperienza del corpo vissuto, in particolare quando tale corpo è ridotto a oggetto di conoscenza scientifica ed è espropriato da un sapere. Ancora Foucault e Goffman ci hanno spinti a riflettere sulla dimensione dello spazio in cui un potere esercita un controllo meticoloso e paranoide sui corpi reso possibile dalla psichiatria come dispositivo di sapere e di controllo.
Franco Basaglia ha fatto del corpo – e non solo del corpo del malato – un filo conduttore costante del suo lavoro, attraversando la psichiatria fenomenologica e la fenomenologia della corporeità, l’archeologia foucaultiana delle istituzioni totali, la critica marxista dell’alienazione. La prospettiva di liberazione che è stato in grado di inaugurare è passata attraverso un gesto che è consistito nel restituire dignità ai corpi reclusi e sofferenti. In questo c’è un valore etico che rappresenta una risorsa che non è soltanto teorica ma è anche pratica. Per quanto la società occidentale contemporanea assomigli oramai poco o nulla a quella in cui operò Basaglia, ciò non toglie che si sono raffinate le modalità di ingabbiamento immaginario e reale dei corpi (per esempio, il lockdown della scorsa primavera ha avuto successo perché l’immaginario angoscioso della guerra, del “nemico invisibile” e della minaccia oscura è stato potentemente costruito dai media, con un’operazione che mirava a preparare alla separazione fisica dei corpi mediante un training alla paura).
Il cantiere si propone di offrire ai partecipanti: a) una mappatura di questi contenuti d’analisi, seguendo alcune delle piste tracciate da Basaglia e impiegando soprattutto il nesso corpo-spazio come avvio della riflessione; b) una lettura guidata di alcuni testi che compongono il mosaico articolato dei riferimenti basagliani; c) una messa a fuoco del rapporto tra corpo e spazio nelle istituzioni totali (soprattutto il nesso visibilità-controllo); d) una tappa specifica sulla progettazione architettonica degli spazi delle istituzioni totali, con particolare riferimento al caso del manicomio di Gorizia, alla sua storia e ai problemi connessi con la sua eredità. Partendo dal terreno della psichiatria, lo scopo è di condurre a una riflessione che porti alla comprensione della centralità del corpo nei processi di assoggettamento così come in possibili pratiche di ri-soggettivazione.
Rileggere Basaglia potrebbe allora acquistare un doppio significato: da un lato ci farebbe vedere come sul problema del corpo sia possibile tentare di far convergere in una sintesi aperta una pluralità di approcci critici, dall’altro ci permetterebbe di imparare a non confondere una libertà dei costumi – che sta anch’essa esaurendo la sua portata illusoriamente emancipatrice – con una liberazione dei corpi che non potrà che essere sempre contingente, locale, conflittuale, ma che – al tempo stesso – potrà anche disegnare quasi in negativo un punto a cui tendere, quello di una società possibile che sia in grado di costituirsi con corpi fragili e vulnerabili, e di prendersi cura di essi (e questo è un altro modo possibile di declinare il “pensiero debole”).
Il Cantiere si avvale della collaborazione di Carla Troilo, Pierangelo Di Vittorio, Giusi Scavuzzo, Pompeo Martelli e Alvise Sforza Tarabochia.
Bibliografia (per iniziare):
- M. Foucault, Storia della follia, Rizzoli, Milano 2011
- I. Goffman, Asylum, Einaudi
Interventi di Giusi Scavuzzo
Tre progetti per un manicomio: una genealogia (6 febbraio)
Gorizia: dal manicomio austriaco, modellato sullo Steinhof a quello costruito “per la salute della stirpe” sotto il fascismo, fino al progetto di trasformazione cofirmato da Basaglia e dall’architetto e docente veneziano Daniele Calabi e alle modifiche realizzate negli interni con un tecnico locale. Il rapporto tra corpi e spazi (celle, camerini di contenzione, stanze) nei tre ospedali e nei tre documenti goriziani della macchina narrativa basagliana: Morire di classe, I giardini di Abele, La favola del serpente.
Il potere psichiatrico descritto da Foucault (anche nel suo La casa della follia, in Crimini di Pace) e quello negato da Basaglia, anche attraverso i suoi interventi sugli spazi dell’ospedale.
Basaglia e le domande all’architettura (7 febbraio)
Gli scritti di Basaglia sull’architettura. Dallo scambio con gli architetti di “Recherches” per il numero speciale della rivista francese su architettura e psichiatria alla partecipazione alla Commissione Ministeriale per la trasformazione delle strutture ospedaliere, all’articolo per “Casabella” scritto con Franca Ongaro Basaglia e gli architetti e docenti Iuav Nani Valle e Giorgio Bellavitis, fino all’introduzione per il libro dell’architetto e docente Sergio Santiano, parafrasi, ad uso degli architetti, di quella scritta per il libro di Peppe dell’Acqua.
Dalle “macchine liberatrici” negate da Foucault nell’intervista sull’architettura, alla richiesta di Basaglia di un’architettura in grado di “autodistruggersi per mutare, prima di iniziare ad agire sul malato come uno spazio che gli si impone e non più il luogo in cui egli trovi il proprio significato”.
Intervento di Alvise Sforza Tarabochia
Basaglia: Corpo e rappresentazione
Partendo dall’articolo Corpo, sguardo, silenzio analizzeremo le strategie di rappresentazione visiva usate dai fotografi e curatori dei due fotolibri protagonisti dell’opera di riforma della psichiatria Italiana: Gli esclusi di Luciano D’Alessandro, curato da Sergio Piro e Morire di classe di Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin, curato da Franco Basaglia e Franca Ongaro, entrambi pubblicati nel 1969. L’analisi di questi fotolibri permetterà di estendere la discussione all’iconografia tradizionale dei disturbi mentali, impiegata e a volte superata e capovolta dagli stessi.
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