Vocazione terapeutica e impegno politico
coordinato da Mario Colucci e Pierangelo Di Vittorio
“Prima di essere dei malati, gli internati sono degli esclusi sociali”: è questa la “scoperta” di Basaglia dopo aver varcato le soglie dell’ospedale psichiatrico di Gorizia. Mentre con la sua équipe riorganizza la vita dell’ospedale sul modello della “comunità terapeutica”, Basaglia comincia a paragonare la condizione degli internati nei manicomi con quella di altri “esclusi sociali”: gli ebrei nei campi di concentramento, i popoli colonizzati, i neri discriminati e privati dei loro diritti, le prostitute nelle case chiuse. Analogie problematiche, che però segnalano l’esigenza di abbandonare le garanzie del sapere psichiatrico, arroccato nelle sue certezze scientifiche le quali, più che offrire strumenti per la cura dei pazienti, confermano il pregiudizio nei loro confronti.
Nel periodo universitario, l’esigenza di scardinare il fortino psichiatrico aveva condotto Basaglia a usare la fenomenologia come leva per far emergere un nuovo sguardo sulla follia. Durante gli anni di Gorizia, la stessa esigenza lo porterà ad abbracciare una prospettiva più articolata e rischiosa, nella quale il tradizionale nesso tra la vocazione terapeutica e la funzione politica (di “protezione sociale”) della psichiatria, sospendendosi, si ripresenta come una domanda che dalle segrete del manicomio s’irradia in tutto lo spazio sociale: in che modo le nostre società, che si vogliono liberali e democratiche, affrontano il problema della sofferenza psichica? Come offrire alle persone sofferenti delle risposte diverse dalla miseria della condizione manicomiale?
L’originale esperienza di Basaglia confluisce così nell’alveo dell’interrogazione sul nesso tra clinica e politica. Interrogazione che ha una lunga storia e che costituisce uno dei nodi più importanti sui quali continuare a riflettere e a cimentarsi. Il movimento di trasformazione guidato da Basaglia, da un lato si ricollega ai primordi del movimento francese della psicoterapia istituzionale (la quale, secondo François Tosquelles, doveva camminare su “due gambe”: quella freudiana e quella marxista); dall’altro incrocia le riflessioni di Frantz Fanon, psichiatra militante in Algeria (raccolte nel volume I dannati della terra); infine s’inserisce nella turbolenta galassia della cosiddetta “antipsichiatria”(da Laing e Cooper, alle genealogie di Michel Foucault, per finire all’Anti-Edipo di Gilles Deleuze e Félix Guattari). Un bacino culturale ampio ed eterogeneo, che nel momento in cui ci accingiamo a “ripensare Basaglia”, potrebbe essere mobilitato per fronteggiare le sfide cui siamo chiamati.
L’intreccio tra clinica e politica è un fronte più che mai sensibile, per non dire incandescente, e che ci sollecita contemporaneamente sul piano della responsabilità terapeutica e su quello dell’impegno politico (ma anche, più in generale, su quello delle poste in gioco culturali e antropologiche). Pensiamo all’“etnopsichiatria critica” di Roberto Beneduce e del gruppo raccolto attorno al Centro Frantz Fanon di Torino: in prima linea nell’assistenza ai migranti, l’interesse del loro contributo consiste nel proporre un approccio, non psicologizzante, ma storico-politico, al “trauma”, facendo riecheggiare in tutta la sua precisione e concretezza la domanda “che cos’è la psichiatria?”, da cui l’esperienza di Basaglia era partita, e inducendo così la “salute mentale” in generale a interrogarsi sempre su sé stessa.
Ma pensiamo anche alla crisi del legame sociale che caratterizza le nostre società e a come l’esperienza clinica (Colucci, Stoppa) si trovi sempre più spesso dinanzi a un disagio “senza soggetto”; cosa che testimonia forse l’emergere, accanto al soggetto individualizzato dalle “discipline”, di un soggetto massificato dai “biopoteri”: un soggetto che esiste solo come variabile anonima e infinitesimale all’interno di quell’insieme statistico chiamato “popolazione”.
Come affrontare la sofferenza psichica, in tutte le sue forme ed espressioni, senza analizzare i dispositivi di potere-sapere che hanno prodotto l’uomo che siamo diventati, provando a intervenire su di essi?
Il Cantiere si avvale delle collaborazioni di Pierangelo Di Vittorio, Ilaria Papandrea, Francesco Stoppa, e degli interventi di numerosi ospiti italiani e stranieri, tra cui, sull’in/attualità di Basaglia:
• Roberto Beneduce, psichiatra e antropologo, fondatore del Centro Frantz Fanon, insegna all’università di Torino;
• Luciano Carrino, psichiatra, ha lavorato con Basaglia a Parma e a Trieste. È stato responsabile dei programmi di cooperazione Italia/Nazioni Unite per lo sviluppo umano in Africa, Mediterraneo, America Latina ed Europa dell’Est.
Sulla ricezione internazionale di Basaglia:
• Benedetto Saraceno, psichiatra, ha lavorato con Basaglia a Trieste ed è stato direttore del Dipartimento di salute mentale e abuso di sostanze dell’OMS; attualmente dirige il Lisbon Institute of Global Mental Health.
• Ernesto Venturini, psichiatra, ha lavorato con Basaglia a Gorizia e a Trieste e poi ha diretto il Dipartimento di salute Mentale di Imola; come esperto OMS ha svolto la sua attività in alcuni paesi dell’Africa e dell’America del Sud.
• John Foot, storico, insegna Storia contemporanea italiana all’Università di Bristol, autore di La “Repubblica dei Matti” (Feltrinelli, 2014) e curatore del libro Basaglia’s international legacy. From asylum to community (Oxford University Press, 2020).
• Juan Carlos Fantin, psichiatra e psicoanalista, vicepresidente per l’America Latina de la World Federation of Mental Health, coordina i consultori esterni del servizio di salute mentale dell’Hospital Álvarez di Buenos Aires.
Sulla ricezione di Basaglia in Francia:
• Anne Lovell, antropologa sociale, è direttrice emerita di ricerca al INSERM e fa parte del CERMES, laboratorio interdisciplinare di ricerca sulla salute. Ha lavorato con Basaglia nel 1970-71. Ha insegnato a Columbia University di New York, Berkeley University in California, Università di Parigi e all’École des Hautes Etudes en Sciences Sociales.
• Patrick Faugeras, psicoanalista e traduttore di Basaglia in francese.
• Jean-Christophe Coffin, storico, insegna all’Università di Parigi VIII Nanterre.
• Michel Minard, psichiatra, ex direttore dei Servizi Psichiatrici di Dax in Francia, membro dell’istituto francese di formazione SOFOR, ha lavorato in Italia negli anni settanta.
Le domeniche mattina saranno dedicate a discussioni su:
• eredità, trasmissione e innovazione con Anna Poma, psicologa e psicoterapeuta, organizzatrice del Festival dei Matti di Venezia, Franco Rotelli, psichiatra, collaboratore di Basaglia a Parma e a Trieste, e Alessandro Saullo, psichiatra della giovane generazione.
• storiografia e archivio con Massimo Bucciantini, storico, che insegna Storia della scienza all’università di Siena, e Marica Setaro, filosofa, che si occupa di archivi e storia della psichiatria.
• Basaglia e la psicoanalisi con gli psicoanalisti Francesco Stoppa e Ilaria Papandrea.
Bibliografia (per iniziare):
- M. Colucci, P. Di Vittorio, Franco Basaglia, alpha beta, Merano 2020 [trad. francese: éditions érès, Toulouse 2005; trad. spagnola: ediciones Nueva Visión, Buenos Aires 2006]
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